mercoledì 28 marzo 2012


L'omelia del nuovo Patriarca di Venezia Mons. Moraglia




Venezia 26 Marzo 2012 ore 12:17:21
Questa l'omelia di Mons. Francesco Moraglia nella concelebrazione eucaristica.

Eminentissimo Patriarca Marco, 
Eccellentissimo Rappresentante Pontificio, 
caro Monsignor Beniamino, Amministratore Apostolico, 
Venerati Confratelli, Autorità, 
carissimi presbiteri, diaconi, consacrati e consacrate, fedeli laici, 
carissimi Veneziani, 

è sotto lo sguardo materno della Nicopeia, nel giorno dell’Annunciazione del Signore, 25 marzo, natale della città, che la Chiesa di Dio che è in Venezia, attraverso la presa di possesso del nuovo Patriarca, viene ricostituita nella sua pienezza teologica, giuridica e pastorale; rivolgiamo il nostro umile grazie a Dio. In questo giorno la Chiesa che è in Venezia è chiamata in modo particolare ad innalzare la sua lode; tutto, infatti, esprime lo stupore e la gioia del popolo di Dio che, reso tale nel sangue di Cristo, celebra la prima Eucaristia presieduta dal nuovo Patriarca, il quarantottesimo successore di San Lorenzo Giustiniani. Così gli uomini passano, ma la Chiesa rimane. È proprio il vescovo - attraverso la successione apostolica - che, col suo ministero, “configura compiutamente” la Chiesa particolare e, tramite la comunione diacronica, si lega al ministero dei Dodici e, con loro, allo stesso Gesù e alla sua Pasqua.

Significativa è, a metà del terzo secolo, la testimonianza di Cipriano, vescovo di Cartagine, sul ministero episcopale. Infatti, secondo Cipriano, la Chiesa particolare - per divino volere - è strutturalmente incentrata sul vescovo che tiene in essa il posto di Cristo sommo sacerdote; il vescovo è il sacerdote che, nel nome Cristo, guida la comunità ecclesiale. L’insegnamento del vescovo di Cartagine circa la comunione fra i vescovi è oltremodo chiara; infatti per Cipriano il vescovo di una chiesa particolare deve vivere in stretta comunione con gli altri vescovi ma, alla fine, è la comunione col vescovo di Roma a garantire la stessa collegialità episcopale (cfr. Cipriano, Lettera ad Antoniano, PL 3,787-788). È la realtà della collegialità che in seguito troverà compiuta e piena formulazione nell’ecclesiologia del Concilio Ecumenico Vaticano II. E in quest’anno, cinquantesimo anniversario della sua solenne inaugurazione, siamo invitati a cogliere sempre meglio il magistero di questa assise ecumenica secondo quell’ermeneutica del rinnovamento nella continuità che autorevolmente propone Benedetto XVI. Il Vaticano II è il grande evento ecclesiale che ha segnato profondamente la vita della Chiesa e al quale dobbiamo guardare con fiducia. 

È proprio in forza della collegialità episcopale che il vescovo di una chiesa particolare, in comunione col vescovo di Roma, ha un legame inscindibile con gli altri vescovi. Siamo nella logica del mistero, per cui non solamente il vescovo è coinvolto, ma ogni chiesa particolare è tale in forza del rapporto intrinseco con la chiesa di Roma. Ed è in questa chiave che i confratelli vescovi del Triveneto guardano, con speranza e realismo, all’imminente convegno di Aquileia 2, rinnovando anzitutto il vincolo collegiale tra loro e le loro Chiese, e tra loro e il vescovo di Roma, il vescovo dei vescovi.
L’impegno comune è renderci disponibili, con le nostre Chiese, ad ascoltare ciò che lo Spirito vorrà suggerirci per una nuova evangelizzazione di queste terre, in vista del bene comune e nel dialogo con la cultura contemporanea. Si tratta, così, di ricentrare la vita delle nostre Chiese a partire dalla responsabilità personale dei pastori e, per la loro parte, dei fedeli, avendo di mira l’annuncio di Cristo. Per questo, anzitutto, ci si chiede come l’«educare alla vita buona del vangelo» possa avvenire in modo più efficace nelle chiese del Nordest; in una terra che, da sempre, svolge la funzione di ponte tra l’Est e l’Ovest, tra il Nord il Sud del mondo e, oggi, più che mai, è chiamata a svolgere tale missione. 

E in ragione di questo, la Chiesa che è in Venezia è chiamata a far proprio ciò che scrive l’autore della lettera agli Ebrei quando, esortando i discepoli a una reale vita di fede, così si esprime: «corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (Eb 12, 2). La nuova evangelizzazione, per essere realmente tale, suppone che la comunità evangelizzante sia, prima di tutto, rigenerata nel proprio rapporto vitale con Cristo; ogni cammino d’evangelizzazione ha inizio non con l’elaborazione di piani pastorali o progetti accademici delle facoltà teologiche, e neppure attraverso un’auspicabile copertura del territorio da parte dei media. Certo questi strumenti, per quanto di loro competenza, concorrono all’opera evangelizzatrice in modo eccellente, ma non costituiscono ancora il fondamento dell’evangelizzazione. 

Sono infatti i discepoli, intesi personalmente e comunitariamente, che vengono prima degli uffici pastorali, prima delle facoltà teologiche, prima della rete mediatica; solo in un secondo momento tali strumenti diventano preziosi e, sul piano umano, oggi insostituibili per sostenere una reale missione evangelizzatrice; si tratta di strumenti a servizio di una comunità testimoniale di cui devono veicolare la tensione missionaria, esprimendola con i loro linguaggi e i loro approcci specifici. Prima di tutto, però, viene la comunità testimoniante che in nessun modo può essere surrogata o data per presupposta.

In merito il libro degli Atti degli Apostoli è esplicito e già nella sua struttura offre una preziosa indicazione che va esattamente in tale direzione; questo libro, che contiene la prima narrazione della storia della Chiesa e insieme fa parte dei libri normativi della fede, non lo si può comprendere in senso pieno senza il presupposto teologico e spirituale da cui consegue l’impegno missionario della Chiesa. 
Tale presupposto, come sappiamo, è costituito dal dono dello Spirito Santo, ossia l’evento della Pentecoste; senza questo dono - compimento della promessa del Signore - noi non avremmo la Chiesa comunità evangelizzata ed evangelizzatrice. 

È proprio il dono dello Spirito Santo che costituisce la Chiesa, trasformando un gruppo di discepoli impauriti nella comunità del Signore risorto. Prima degli annunci cherigmatici e delle catechesi degli apostoli, prima dei viaggi missionari e della fondazione delle Chiese particolari, il libro degli Atti narra l’evento di Pentecoste, evento dal quale si può comprendere il significato di ciò che in seguito verrà scandito pagina dopo pagina. La Pentecoste è in tal modo l’inizio della Chiesa: non soltanto in senso cronologico, ma essenziale-valoriale; tutto ciò che era accaduto prima del vento impetuoso che si abbatte gagliardo e delle lingue di fuoco che si posano sui presenti - come narra il libro sacro (cfr. At 2, 2-3) - è semplice preparazione, sono soltanto fatti che precedono; la Pentecoste è il vero evento che costituisce ed inaugura la Chiesa alla quale, in Gesù, sono chiamati tutti gli uomini di buona volontà. 

Richiamo, a questo punto, la pagina lucana dei due discepoli di Emmaus perché in essa troviamo qualcosa che caratterizza la Chiesa di ogni tempo, quindi anche la nostra; è un’immagine estremamente significativa e, proprio per questo, va considerata fino in fondo, in tutte le sue implicanze teologiche, spirituali, pastorali e giuridiche. I due pellegrini - Cleopa e il compagno di strada - stanno camminando con Gesù risorto e sono tristi perché per loro è ancora morto; a un determinato momento pretendono addirittura di spiegare proprio a Lui che cosa era successo nei giorni precedenti in Gerusalemme a quel Gesù, profeta potente in parole e opere, di fronte a Dio e al popolo. 

Pare di intravedere, in questo goffo tentativo, l’immagine di certa teologia, più volenterosa che illuminata, tutta dedita all’ardua e improbabile impresa di salvare, attraverso le proprie categorie, Gesù Cristo e la sua Parola. Ma in questa immagine siamo rappresentati anche noi ogni qual volta, con i nostri piani pastorali, con i nostri progetti, convegni e dibattitti, avulsi da una vera fede, pretendiamo di spiegare a Gesù Cristo chi Egli è. Cleopa, il suo compagno di cammino e dopo di loro i discepoli di ogni tempo alla fine esprimono tutta la loro desolazione e la loro sfiducia nei confronti di Gesù e del suo operato; le parole dei due e l’uso del tempo imperfetto risultano inequivocabili: «noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni» (Lc 24, 21).

Quando la fede viene meno, o non è più in grado di sostenere e fecondare la vita dei discepoli, allora ogni discorso teologico, ogni piano pastorale o copertura mediatica appaiono insufficienti. E noi ci troviamo nella stessa condizione dei due discepoli di Emmaus, incapaci d’andar oltre le loro logiche, i loro stati d’animo, scoprendosi prigionieri delle loro paure. Teniamo conto di tutto ciò alla vigilia di Aquileia 2 e dell’incipiente anno della fede. Ma l’evangelista Luca ci insegna ancora che spezzare il pane con Gesù - l’Eucaristia - è il gesto irrinunciabile e specifico del realismo cristiano, attraverso cui i discepoli andranno oltre le loro soggezioni, suggestioni e paure. 

In altre parole l’Eucaristia ci consegna - nel mistero - Gesù vivo e vero; quindi l’Eucaristia dev’essere, anche per noi, evento privilegiato del realismo cristiano. Luogo e momento in cui siamo chiamati ad andare oltre le nostre risorgenti incredulità e ad aprirci un varco alla “realtà intera” che non prescinde dalle vicende storiche ma va oltre di esse e, superando la parzialità della dimensione storica, ci consegna ad una prospettiva nuova, per cui si giunge ad un amore capace di verità e ad una verità sorretta dall’amore. Qui s’inserisce e acquista il suo senso vero il commiato liturgico che, fra poco, per la prima volta - attraverso la voce del diacono - ci scambieremo reciprocamente, vale a dire: «La messa è finita, andate in pace». 

Nella celebrazione liturgica assunta nella nostra vita si dà il senso e la realtà ultima dell’Eucaristia, ovverossia l’umanità nuova che nasce dal Corpo dato e dal Sangue effuso, senza con ciò prescindere dalla realtà storica del momento presente: «Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista» (Lc 24, 30-31).

Impegnamoci come Chiesa che è in Venezia a ricordarci reciprocamente la ricchezza e la fecondità di tale realismo cristiano; il vescovo lo faccia in quanto vescovo, i presbiteri in quanto presbiteri, i diaconi in quanto diaconi, i consacrati come consacrati, gli sposi come sposi e spose. Realismo cristiano che, in quanto tale, è sempre e contestualmente rispettoso della molteplicità e delle distinzioni, ossia della sacralità come della laicità, e ciò, a scanso d’equivoci, sia detto e ripetuto. Il vero realismo cristiano promuove sempre l’umano come tale, ovunque lo incontra. Realismo che partendo da Gesù Cristo - unigenito del Padre e primogenito di una moltitudine di fratelli - ritorna a Cristo dopo aver incontrato e attraversato, in tutto il suo spessore e diversi gradi, la creaturalità dell’uomo.

Nell’Eucaristia, che è la carità di Cristo donata qui e ora, si dà la possibilità di rinnovare l’umanità stessa a partire dal rispetto dovuto ad ogni uomo e a tutto l’uomo; non si dà, quindi, carità vera se si prescinde dal rispetto della giustizia effettiva - distributiva e contributiva -, oltre ogni facile aggiustamento. Vogliamo infine includerci e includere quanto accennato nello scenario dell’anno della fede indetto da Benedetto XVI e che presto prenderà avvio e vedrà impegnata con forza la Chiesa che è in Venezia attraverso la corresponsabilità di tutti i suoi membri e secondo il loro specifico ecclesiale. Ci limitiamo ad una sottolineatura riguardante l’evangelizzazione della Chiesa stessa che deve crescere nella consapevolezza della fede per educarsi e porsi, senza arroganza ma anche senza timori o complessi d’inferiorità, in una testimonianza dialogica con le culture dominanti.

Ritorniamo, infine, al testo di Luca e vediamo come i due di Emmaus, senza frapporre indugio, fanno ritorno a Gerusalemme; e proprio loro che poco prima avevano liquidato come semplici fantasie di donne l’evento glorioso della Risurrezione, ora vogliono annunciare alla Chiesa nascente - Maria, gli Undici e gli altri con loro - che avevano niente di meno che incontrato il Signore Gesù lungo la strada e l’avevano riconosciuto nell’atto di spezzare il pane; ma loro malgrado sono preceduti da chi dice loro: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!» (Lc 24, 34). 

E il realismo cristiano si riflette su quanto appartiene all’uomo, innanzitutto include il rispetto della vita sempre, senza condizioni; poi l’accoglienza, l’integrazione, la promozione della famiglia, cellula fondamentale della società umana, l’educazione che mira alla pienezza della libertà, il lavoro come diritto e dovere che tocca la dignità stessa dei lavoratori e delle loro famiglie soprattutto oggi, il bene comune con il contributo specifico della dottrina sociale della Chiesa, anche questi valori umani entrano negli scenari della vita risorta, sono i valori che stanno a cuore a una ragione amica della fede, valori che vicendevolmente s’illuminano e sostengono.

Pastore e fedeli, in un momento significativo per la vita della Chiesa di Venezia, si ritrovano oggi fiduciosi sotto il materno sguardo della Nicopeia, Colei che guida alla vittoria, e sono chiamati a dire il loro sì come Maria al momento dell’Annunciazione. Un sì pronunciato col cuore e la ragione, un sì personale e comunitario, un sì detto a Dio e agli uomini, nello spirito di Maria che si lascia condurre verso un Oltre che, fin d’ora, è tutta la nostra gioia.
Amen, così sia.

venerdì 23 marzo 2012


CONCLUDERÒ UNA ALLEANZA NUOVA

I
l tema dell'alleanza attraversa tutta la Scrittura...fare alleanza è lo scopo di Dio... Alleanza nella creazione. Noè: alleanza nel segno dell'arcobaleno. Abramo: alleanza nel segno del sacrificio.  Mosè: alleanza ai piedi del Sinai. I profeti: alleanza nel segno del cuore nuovo.... sino a Gesù...tutto avviene nel segno dell'alleanza...Gesù stesso nel suo sangue sancirà la nuova ed eterna alleanza.
Ma in che cosa consiste l'atto dell'alleanza ? = consiste in un atto di comunione, ma anche di elevazione, di reciproca elezione e scelta. L'alleanza pone i due contraenti in un piano di parità: di qui l'anomalia: come si può stringere alleanza con Dio ? Essa è possibile solamente perché Dio la rende possibile, e l'unica possibilità di attuarla e la sua discesa, la sua umiliazione, il suo porsi nello stesso piano della creatura, dell'uomo.
Noi possiamo prenderci la confidenza di chiamare Dio col nome di Padre, perché Lui, in Gesù rende possibile questo rapporto. È una relazione vera perché Gesù in se stesso crea le condizioni di questa relazione filiale. Egli supplisce a ciò che manca in noi. Alla povertà del nostro atto di amore, alla debolezza del nostro sì, Egli interpone il suo sì, il suo atto di amore.. Nel dono, libero, consapevole, fatto di se stesso al Padre, Egli sopperisce ad ogni nostra povertà. È Lui che rende possibile l'alleanza, perché ci mette in grado di avere quello che noi, mai avremmo potuto avere, ossia questa sovrabbondanza di amore.
In questo modo Egli diviene il chicco di grano che caduto in terra, muore. Questo diventare "chicco di grano" ci rivela la profondità della sua discesa, e quindi la profondità della sua solidarietà con noi. L'amore di Gesù ci raggiunge lì dove siamo e a partire di lì, supplisce alla nostra povertà, alla nostra negligenza e incapacità di corrispondere al dono di Dio. È solamente in questa prospettiva che possiamo comprendere in che cosa consista la fraternità di Gesù per noi e la sua opera della redenzione. Egli ci pone in grado di entrare in un rapporto di alleanza con Dio, supplendo alla nostra costitutiva povertà.
<<Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna>>. Perdere la propria vita,  non significa disprezzarla ma donarla, offrirla gratuitamente, liberamente, vincendo l'istintiva e innata preoccupazione di conservare se stessi. Non è "naturale" perdere se stessi. Perdere nel modo in cui non abbiamo scelto di perdere...è più naturale conservare se stessi, proteggersi, difendersi o affermare se stessi.  Non occorre creare o cercare le occasioni di perdita, è la vita stessa che ci fa incontrare queste situazioni umane di perdita....Possiamo accettarle senza cadere nello scoraggiamento e nella frustrazione,  solo a partire da un atto di fiducia...fiducia nell'amore di Gesù che ci sostiene, che supplisce alla nostra povertà. 
Perdere se stessi è possibile se si sperimenta un amore più grande... Qui il salto di qualità è decisivo: vivere l'esperienza della fede, come esperienza di un amore più grande...ciò che vivo, motivato dalla fede, in nome della fede...come percezione di un amore più grande...il mio servizio è risposta ad un amore più grande...canto, perché rispondo ad un amore più grande, suono, animo, servo, lavoro... Perché rispondo ad un amore più grande....
Sperimentare l'amore di Gesù che ci viene dato gratuitamente...accogliendolo come amore più grande...come forza di trasformazione... Questo è il segreto della preghiera.

sabato 17 marzo 2012

LECTIO SUI TESTI DELLA IV DOMENICA DI QUARESIMA


                                          LECTIO IV DOMENICA DI QUARESIMA

DAL SECONDO LIBRO DELLE CRONACHE 36, 19 - 23
Nell’anno primo di Ciro, re di Persia, perché si adempisse la parola del Signore pronunciata per bocca di Geremìa, il Signore suscitò lo spirito di Ciro, re di Persia, che fece proclamare per tutto il suo regno, anche per iscritto: «Così dice Ciro, re di Persia: “Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra. Egli mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!”».
GV 3, 14 - 20
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. 
L'incipit di questi due testi fa riferimento a due momenti di profonda sofferenza vissuti dal popolo di Israele:  alla esperienza nel deserto dopo la schiavitù egiziana e il tempo dell'esilio babilonese, con la conseguente deportazione e la liberazione ad opera di Ciro re di Persia.
Nel primo caso lo scenario che emerge è di devastazione e di tragedia. La disobbedienza e l'infedeltà del popolo e dei loro rappresentati nei confronti di Dio, produce la sventura della deportazione e dell'esilio. Ma Dio interviene anche qui. Inaspettatamente suscita in Ciro re persiano il desiderio di liberare il popolo di Israele e di rimandarlo a Gerusalemme per la ricostruzione del tempio.  Nel vangelo, nelle prime battute del capitolo 3, Gesù nel suo dialogo con Nicodemo, fa riferimento al tempo del deserto per aiutarlo a comprendere l'opera di Dio, il suo disegno di salvezza. Così come nel deserto, Mosé innalzò il serpente su un asta di rame, affinché tutti coloro che erano stati morsi dai serpenti velenosi potessero fissando il segno del serpente di rame, essere salvati, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perchè chiunque guarda a Lui sia salvato.

Sorprende questo termine adoperato da Gesù:"bisogna", è necessario, indispensabile che il Figlio dell'uomo sia innalzato...quell'innalzamento di cui parla Gesù, è l'innalzamento della croce...è necessario che il Figlio dell'uomo sia crocifisso, perché chiunque guarda a Lui sia salvato. Il crocifisso concentra su se stesso un potere enorme: Egli può toccare il cuore di quanti guardano a Lui. C'è una fecondità invisibile che viene emanata dal crocifisso, solo Lui può parlare al cuore degli uomini, solo Lui può trasformare il loro cuore con la potenza della sua croce, perchè nella sofferenza del crocifisso, l'uomo vede la propria sofferenza...in Lui vede riflessa la storia della propria vita.
Che cosa vuole dirci questa Parola ?
A) nella vita e nella storia degli uomini si incontrano sempre esperienze e momenti di prova e di dolore...non esiste una vita senza la purificazione della prova...il più delle volte causate dagli uomini, dalla loro infedeltà a Dio e alla sua legge.
B) nelle prove Dio ci raggiunge...a volte insperabilmente, inaspettatamente, attraverso persone o situazioni impensabili.
C) l'intervento di Dio ci fa sperimentare la vera liberazione e il vero amore. Dio interviene nella nostra vita perché ci ama e attraverso il dono del suo amore ci plasma, ci fa diventare persone nuove.
Da queste narrazioni quale immagine di fede cristiana ci viene consegnata ?

È l'esperienza di essere stati amati per primi (F. Mouriac) è l'esperienza di essere stati preceduti nell'amore. "DIO HA TANTO AMATO IL MONDO DA DARE IL SUO FIGLIO UNIGENITO, PERCHE' CHIUNQUE CREDE IN LUI NON MUOIA MA ABBIA LA VITA ETERNA".
Questa è la più alta sintesi della fede cristiana. Non potremmo rispondere con la fede all'amore di Dio se questo amore non si fosse reso sperimentabile da noi. È il dono dell'amore, e l'essere amati che rende possibile la risposta della fede. Se non percepissimo la presenza di Dio che si fa dono per noi, non potremmo rispondergli mediante la fede.
E Lui che ha tanto amato noi, da dare, da donare, prima di ogni nostra possibile risposta, se stesso nel dono del Figlio. Il cristianesimo ci apre gli occhi sulla infinita gratuità e precedenza dell'amore di Dio....potremmo dire parafrasando S. Agostino: tu non potresti amarmi se io non ti avessi già amato.
Che cosa dunque ci consegna la fede cristiana ?
Non un insieme di conoscenze su Dio...ma una esperienza, un incontro che può trasformare la vita. Ciò che noi annunciamo non sono dei testi, delle idee, non una verità,non una morale...noi annunciamo una esperienza...ciò che è avvenuto nell'incontro con Dio...narriamo l'esperienza di una relazione, di un incontro...di una esperienza che mi tocca e solo toccandomi dentro coinvolge anche l'altro...
1 lettera di Giovanni...ciò che noi abbiamo veduto, ciò che le nostre mani toccato....il Verbo della vita...è l'esperienza dell'incontro...lo annunciamo a voi....il fine dell'annuncio non è tanto convertire l'altro...ognuno ha i suoi tempi..il fine è la comunione, è il dare testimonianza.

mercoledì 14 marzo 2012


REGOLAMENTO " CUORI PURI "

pubblicata da CUORI PURI il giorno domenica 14 agosto 2011 alle ore 8.03 ·
CUORI PURI - REGOLAMENTO

In data 25 Giugno 2011, nel 30° anniversario delle apparizioni, è sorta a Medjugorje l’iniziativa CUORI PURI ( www.cuoripuri.it ), da un’ispirazione di Padre Renzo Gobbi, che allora ricopriva l’incarico di “Cappellano per gli Italiani” ed aveva sentito parlare dell’analogo movimento americano PURE HEARTS.
La prima persona ad aderire ai principi ispiratori è stata Ania Goledzinowska, che si è anche assunta la responsabilità di occuparsi personalmente dell’organizzazione.
1. L'adesione al movimento è gratuita, ma è comunque possibile inviare un’offerta per sostenere la produzione degli anelli, e permettere così ad ogni iscritto di accedervi gratuitamente. 
2. CUORI PURI è un movimento di ispirazione Cristiana e Cattolica, che promuove principalmente il valore della Castità prematrimoniale
3. Chi aderisce a CUORI PURI, si impegna a vivere in castità fino al giorno del matrimonio, con una specifica promessa fatta davanti ad un sacerdote.
4. Ogni iscritto si sentirà fiero di questa scelta, impegnandosi anche a renderne testimonianza pubblica.

   Il "Segno di Riconoscimento" dell'appartenenza al movimento è un anello numerato, che viene spedito gratuitamente a chiunque faccia domanda di iscrizione.
5. Possono iscriversi al movimento sia coppie già formate, che singoli che aspirano al matrimonio .
6. Per l'adesione al movimento non sono previsti limiti né di età né di religione, anche se lo stesso è di ispirazione Cristiana e Cattolica.
7. Per l'adesione è necessario contattare CUORI PURI all'indirizzo di posta elettronica iscrizioni@cuoripuri.it o sulla pagina www.cuoripuri.it , ricevere quindi l'anello, e poi fare la promessa davanti ad un sacerdote che sia testimone davanti a Dio e benedica questa intenzione, indossando l'anello.
8. La formula da utilizzare per la promessa è la seguente: “Oggi, davanti a Te Gesù, per l’intercessione della Tua Madre Purissima, da sempre vergine, Maria, e del suo castissimo sposo Giuseppe, io … (nome) …. Prometto di vivere in castità fino al giorno del matrimonio. Questa formula va pronunciata davanti ad un sacerdote, poi va indossato l’anello al dito, che il Sacerdote benedice.
9. Dopo la promessa fatta davanti al sacerdote (prima o durante la Messa) , nella preghiera dei fedeli dovrebbe essere inserita un’intenzione specifica, secondo la formula “Per … (nome) … e (nome), che oggi hanno aderito all’iniziativa CUORI PURI, promettendo di vivere nella castità fino al matrimonio, preghiamo”
10. L’adesione al movimento è possibile in ogni giorno dell’anno, ma la promessa va rinnovata ogni anno il 25 giugno (nell’anniversario della fondazione del movimento e dell’anniversario delle apparizioni della Regina della Pace, sotto la cui protezione vengono posti tutti gli iscritti).
11. Nel caso in cui un iscritto infranga la promessa, s’impegna a togliere l’anello per il tempo di un anno, dopo il quale può rifare la promessa .
12. L’unico impegno richiesto ad ogni iscritto, è quello di recitare almeno una volta al giorno la breve invocazione : “Gesù, aiutami ad essere fedele alla mia promessa” In aggiunta all’impegno giornaliero, il movimento propone la recita di una corona di rosario nel primo sabato del mese secondo le intenzioni di Maria e la confessione. 
13. L’iscrizione al movimento non sarà mai resa pubblica. I dati personali di ogni iscritto, vengono raccolti e mantenuti esclusivamente dal movimento.
14. Ogni singolo membro s’impegna a NON GIUDICARE la vita precedente degli altri membri, ogn’uno ha diritto alla MISERICORDIA di Dio e di ritrovare la strada smarrita. Infatti noi giuriamo da OGGI in poi, non da ieri..

Riferimenti
Padre Spirituale:
Padre Renzo Gobbi
Coordinamento:
Ania Goledzinowska
OFFERTA: L'organizzazione che sostiene il movimento "Cuori Puri" vive di provvidenza. L'iscrizione al movimento è gratuita, così come gratuita è la spedizione dell'anello.Chi volesse contribuire alle spese di produzione e spedizioni degli anelli, può inviare la sua offerta : ANNA GOLEDZINOWSKA POSTEPAY 4023600587097637
Adesione al movimento:
SITO WEB: www.cuoripuri.it
Posta Elettronica: cuoripuri@cuoripuri.it

Per Iscrizioni      : iscrizioni@cuoripuri.it
Pagina Facebook: http://www.facebook.com/CuoriPuri

martedì 13 marzo 2012


NELL'IMMINENZA DELLA PASQUA


Tra due settimane entreremo nella grande settimana la Settimana Santa. Questi giorni che la precedono, si rivestono di grande importanza. La Pasqua non consiste in un giorno o in una serie di giorni, ma è una persona. La pasqua è l'irrompere del Cristo crocifisso e risorto nella nostra vita, nella vita della Chiesa. E' questa la prospettiva che deve guidarci avvicinandoci alla grande settimana.
La Chiesa ci parlerà, ci educherà attraverso i suoi segni e simboli, attraverso azioni, gesti, usi che altro scopo non hanno se non quello di ravvivare la nostra coscienza di essere di fronte al Risorto. E' Lui che genera l'incontro, è Lui che fa esistere la Chiesa, è a partire da Lui che la Chiesa può diventare operatrice di misericordia e di carità per l'umanità. Intensifichiamo dunque la nostra preparazione alla Pasqua; mercoledì e venerdì sono i giorni nei quali ci viene offerta con più abbondanza la possibilità di nutrire la nostra fede. S.Messa, predicazione, adorazione, possibilità di accostarci al sacramento del perdono....e poi al venerdì la lectio divina sulla Parola di Dio della domenica...non lasciamo cadere questi doni preziosi di approfondimento della fede.
Poi a questo dovrà seguire il nostro impegno personale di preghiera, di carità e di solidarietà verso i fratelli. Lasciamoci trasformare da questi giorni santi e soprattutto da Colui che rende santi questi giorni, il Risorto !

Affido a tutti voi una grande preghiera del Papa Paolo VI sulla fede. Chiediamo il dono di una fede grande, di un cuore grande capace di accogliere il dono di Dio:


Signore, io credo: io voglio credere in Te.
O Signore, fa che la mia fede sia piena, senza riserve, e che essa penetri nel mio pensiero, nel mio modo di giudicare le cose divine e le cose umane.
O Signore, fa che la mia fede sia libera: cioè abbia il concorso personale della mia adesione, accetti le rinunce ed i doveri che essa comporta e che esprima l’apice decisivo della mia personalità: credo in Te, o Signore.
O Signore, fa che la mia fede sia certa; certa d’una sua esteriore congruenza di prove e d’una interiore testimonianza dello Spirito Santo, certa di una sua luce rassicurante, d’una sua conclusione pacificante, d’una sua assimilazione riposante.
O Signore. fa che la mia fede sia forte; non tema le contrarietà dei problemi, onde è piena l’esperienza della nostra vita avida di luce; non tema le avversità di chi la discute, la impugna, la rifiuta, la nega; ma si rinsaldi nell’intima prova della Tua verità, resista alla fatica della critica, si corrobori nella affermazione continua sormontante le difficoltà dialettiche e spirituali, in cui si svolge la nostra temporale esistenza.
O Signore, fa che la mia fede sia gioiosa e dia pace e letizia al mio spirito, e lo abiliti all’orazione con Dio e alla consacrazione con gli uomini, così che irradi nel colloquio sacro e profano l’interiore beatitudine del suo fortunato possesso.
O Signore, fa che la mia fede sia operosa e dia alla carità le ragioni della sua espansione morale, così che sia vera amicizia con Te e sia in Te nelle opere, nelle sofferenze, nell’attesa della rivelazione finale, una continua testimonianza, un alimento continuo di speranza.
O Signore, fa che la mia fede sia umile e non presuma fondarsi sull’esperienza del mio pensiero e del mio sentimento; ma si arrenda alla testimonianza dello Spirito Santo, e non abbia altra migliore garanzia che nella docilità alla Tradizione e all’autorità del Magistero della santa Chiesa. Amen

Nell'attesa di potervi incontrare in questi giorni, vi ricordo tutti nella mia preghiera

don Maurizio









    DOMENICA II DI QURESIMA anno B

    Due sono le icone - scene - avvenimenti attraverso i quali Dio ci parla:
    Abramo sul monte Moria e Gesù sul monte Tabor.
    Apparentemente i due avvenimenti sembrano non avere nulla in comune, ma in verità hanno molti collegamenti.

    Abramo è il grande padre della fede di tutte e tre le religioni monoteistiche
    Gesù è il vertice della fede portata a compimento, è fede realizzata

    Ambedue le scene si svolgono su di un monte...il Moria e l'alto monte, il Tabor
    Il monte è lo spazio più vicino al cielo, è lo spazio in salita...per incontrare Dio bisogna da un lato staccarsi dalla terra e dall'altro salire verso il cielo. Spesso i santuari antichi sorgevano tutti sopra un monte o una altura, erano pensati come una cerniera tra cielo e terra, come una porta tra il tempo e l'eterno.

    Abramo sale il monte, obbedendo alla volontà di Dio che prova la sua fede, chiedendogli di immolare il suo unico figlio...quel figlio che aveva aspettato tutta la vita...quel figlio in cui si prolungava la sua stirpe...quel figlio non era solo l'immolazione dei legami del presente, ma anche del futuro...Isacco era il futuro della discendenza di Abramo... Dio gli chiede anche il futuro.

    Anche Gesù sale su un alto monte...a lui non è chiesto di sacrificare qualcosa di esterno...l'offerta è più intima e profonda... La materia del sacrificio è Lui stesso ! Quel monte che sale, è immagine di un altro monte, il Golgota, lì avverrà l'offerta di se stesso...

    Dio chiede ad Abramo l'offerta di un sacrificio per provare la sua fede... sacrifico del figlio...il sacrificio è richiesto ad Abramo non ad Isacco che ne e inconsapevole... Chiedendogli il sacrificio, l'offerta cruenta del proprio figlio, Dio prova e affina la fede di Abramo...fa saltare in lui...l'idea di Dio che si era creato...dall'esperienza di un Dio benevolo, misericordioso, compassionevole, Abramo è costretto a passare all'incontro con un Dio esigente, incomprensibile, severo...ma e proprio qui che avviene il salto di qualità...in verità Abramo, non deve tanto immolare Isacco, quanto la sua intelligenza...il suo sistema simbolico, il modo in cui fino a quel momento si era rappresentato Dio... Dio non è il frutto delle nostre rappresentazioni...non coincide con i nostri pensieri...non deve corrispondere alle nostre aspettative...il cuore del sacrificio di Abramo sta nella rinuncia della sua intelligenza a rappresentarsi un Dio corrispondente alla sua volontà e alle sue attese umane. Dio educa Abramo non per via di ragionamenti ma per via di esperienza, Dio agisce nell'agire di Abramo, lo pone difronte ai fatti non ai pensieri.

    Anche in Gesù avviene qualcosa di simile anche se direttamente finalizzato
    alla rivelazione del mistero di Dio...in Gesù la fede diventa rivelazione di Dio.
    Nel momento del Getzemani, il Padre chiede anche a Gesù l'immolazione della sua volontà. Nella solitudine della preghiera di quell'ora, Gesù deve continuare ad abbandonarsi nelle mani del Padre, deve affidarsi a quel Padre nel quale ha sempre trovato rifugio e amore, stante l'evidenza e la contrarietà degli eventi. Credere nel Padre, sperimentarlo come un Dio di amore, sebbene immerso in mare di violenza...sperare di fronte e al di la di tutto... Gesù arriva a questo vertice di abbandono sulla croce...lì pregherà il salmo 21/22 salmo di speranza e di fiducia...uscendo dal sala della cena canterà insieme agli apostoli il salmo 117...celebrate il Signore perché è buono... L' esperienza, la constatazione dell'amore del Padre in Gesù diventa roccia, inamovibile, cuore del cuore della sua preghiera.

    Anche a noi Dio può chiedere il sacrificio della nostra volontà, della nostra intelligenza...può scombinare i nostri percorsi, i nostri piani...in vista del crescita della nostra fede e del nostro amore
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