martedì 13 marzo 2012



    DOMENICA II DI QURESIMA anno B

    Due sono le icone - scene - avvenimenti attraverso i quali Dio ci parla:
    Abramo sul monte Moria e Gesù sul monte Tabor.
    Apparentemente i due avvenimenti sembrano non avere nulla in comune, ma in verità hanno molti collegamenti.

    Abramo è il grande padre della fede di tutte e tre le religioni monoteistiche
    Gesù è il vertice della fede portata a compimento, è fede realizzata

    Ambedue le scene si svolgono su di un monte...il Moria e l'alto monte, il Tabor
    Il monte è lo spazio più vicino al cielo, è lo spazio in salita...per incontrare Dio bisogna da un lato staccarsi dalla terra e dall'altro salire verso il cielo. Spesso i santuari antichi sorgevano tutti sopra un monte o una altura, erano pensati come una cerniera tra cielo e terra, come una porta tra il tempo e l'eterno.

    Abramo sale il monte, obbedendo alla volontà di Dio che prova la sua fede, chiedendogli di immolare il suo unico figlio...quel figlio che aveva aspettato tutta la vita...quel figlio in cui si prolungava la sua stirpe...quel figlio non era solo l'immolazione dei legami del presente, ma anche del futuro...Isacco era il futuro della discendenza di Abramo... Dio gli chiede anche il futuro.

    Anche Gesù sale su un alto monte...a lui non è chiesto di sacrificare qualcosa di esterno...l'offerta è più intima e profonda... La materia del sacrificio è Lui stesso ! Quel monte che sale, è immagine di un altro monte, il Golgota, lì avverrà l'offerta di se stesso...

    Dio chiede ad Abramo l'offerta di un sacrificio per provare la sua fede... sacrifico del figlio...il sacrificio è richiesto ad Abramo non ad Isacco che ne e inconsapevole... Chiedendogli il sacrificio, l'offerta cruenta del proprio figlio, Dio prova e affina la fede di Abramo...fa saltare in lui...l'idea di Dio che si era creato...dall'esperienza di un Dio benevolo, misericordioso, compassionevole, Abramo è costretto a passare all'incontro con un Dio esigente, incomprensibile, severo...ma e proprio qui che avviene il salto di qualità...in verità Abramo, non deve tanto immolare Isacco, quanto la sua intelligenza...il suo sistema simbolico, il modo in cui fino a quel momento si era rappresentato Dio... Dio non è il frutto delle nostre rappresentazioni...non coincide con i nostri pensieri...non deve corrispondere alle nostre aspettative...il cuore del sacrificio di Abramo sta nella rinuncia della sua intelligenza a rappresentarsi un Dio corrispondente alla sua volontà e alle sue attese umane. Dio educa Abramo non per via di ragionamenti ma per via di esperienza, Dio agisce nell'agire di Abramo, lo pone difronte ai fatti non ai pensieri.

    Anche in Gesù avviene qualcosa di simile anche se direttamente finalizzato
    alla rivelazione del mistero di Dio...in Gesù la fede diventa rivelazione di Dio.
    Nel momento del Getzemani, il Padre chiede anche a Gesù l'immolazione della sua volontà. Nella solitudine della preghiera di quell'ora, Gesù deve continuare ad abbandonarsi nelle mani del Padre, deve affidarsi a quel Padre nel quale ha sempre trovato rifugio e amore, stante l'evidenza e la contrarietà degli eventi. Credere nel Padre, sperimentarlo come un Dio di amore, sebbene immerso in mare di violenza...sperare di fronte e al di la di tutto... Gesù arriva a questo vertice di abbandono sulla croce...lì pregherà il salmo 21/22 salmo di speranza e di fiducia...uscendo dal sala della cena canterà insieme agli apostoli il salmo 117...celebrate il Signore perché è buono... L' esperienza, la constatazione dell'amore del Padre in Gesù diventa roccia, inamovibile, cuore del cuore della sua preghiera.

    Anche a noi Dio può chiedere il sacrificio della nostra volontà, della nostra intelligenza...può scombinare i nostri percorsi, i nostri piani...in vista del crescita della nostra fede e del nostro amore
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